Il femminicidio della diciottenne pakistana Saman Abbas, avvenuto a Novellara, nel reggiano, nella notte tra venerdì 30 aprile e sabato 1 maggio del 2021, ha destato scalpore, in virtù del modus operandi e dell’atrocità del delitto commesso: a distanza di quattro mesi dalla scomparsa di Saman, ci sono nuovi sviluppi investigativi in merito ai fatti accaduti. Dall’incidente probatorio effettuato sul fratello della ragazza emerge che, prima dell’omicidio, ci sia stata una “riunione di famiglia”, in cui si sono decise le sorti di Saman. Dall’incidente probatorio, inoltre, sarebbe emerso che la ragazza sia stata smembrata e fatta a piccoli pezzi, per poi occultare il cadavere. Saman è stata uccisa perché si è rifiutata di sposare un uomo scelto dalla sua famiglia. La giovane viveva in una “casa famiglia”, dov’era stata affidata dai servizi sociali, poiché aveva denunciato i suoi familiari e si era rifiutata di recarsi in Pakistan, per sposarsi.
La dinamica dei fatti non è ancora ben chiara, ma sicuramente Saman è stata vittima di un tranello: ella si era recata nella casa familiare, probabilmente attirata in una trappola, per recuperare il suo passaporto, che i genitori non volevano più restituirle. Il giorno 30 aprile 2021, Saman ascolta una conversazione della mamma, che parla dell’uccisione, come unica “soluzione” per una donna che non si attiene agli usi e ai costumi pakistani. Saman, successivamente, confida questa situazione al fidanzato, che riferirà, in seguito, tali fatti, ai carabinieri. Ad oggi, proseguono le ricerche del corpo della ragazza, nei campi di Novellara, che si presume sia stata uccisa dallo zio Danish Hasnain: sono indagati assieme a lui, i genitori e due cugini, di cui uno, Ikram Ijaz, condotto in carcere a Reggio Emilia. La Procura di Reggio Emilia contesta la premeditazione ai cinque indagati.
Un video mostra tre persone che camminano distanti l’una dall’altra: la prima regge una pala, la seconda tiene in mano un sacchetto e la terza impugna un attrezzo non precisato. Il filmato è stato registrato vicino alla casa di Saman Abbas e secondo gli inquirenti, i tre soggetti sarebbero lo zio di Saman e i due cugini, che si recavano a scavare la fossa dove seppellire la giovane ragazza. Non si sa se questo sia un depistaggio, oppure, effettivamente, la telecamera abbia colto di sorpresa i soggetti in questione. C’è un altro indizio a carico dello zio di Saman: si tratta della testimonianza del fratello della diciottenne, sentito in audizione protetta davanti al GIP di Reggio Emilia, che ha indicato lo zio come l’esecutore materiale del femminicidio. I genitori di Saman sono poi fuggiti in Pakistan e sono tutt’ora ricercati.
Il Pakistan, formalmente, vieta e punisce i delitti d’onore, anche se sostanzialmente non accade così: molti sono gli atti commessi contro le donne, in nome di pratiche tradizionali e tribali, soprattutto per chi disonora la famiglia. Per cui, un rifiuto di un matrimonio combinato viene visto come un disonore e l’uccisione della donna disonorevole rappresenta una forma di riabilitazione dell’onore per la famiglia. Il “karo-kari” o “delitto d’onore”, in Pakistan, è una forma di omicidio commesso contro le donne che abbiano “disonorato”, per qualche motivo, la famiglia. Per ripristinare l’onore perso, un componente della famiglia di sesso maschile deve uccidere la donna che ha causato il disonore familiare. La violenza contro le donne, in Pakistan, è un fattore oggettivo: in molti paesi mediorientali, come il Pakistan, la disparità di genere è molto evidente e tanti femminicidi, spesso, non sono neanche denunciati alle autorità, oppure sono mascherati come suicidi.
Il Pakistan è prevalentemente dominato da una società patriarcale, in cui la libertà individuale non esiste: le donne sono subordinate agli uomini e il divorzio non è contemplato nel sistema giuridico. Le donne pakistane che sono vittime di abusi restano intrappolate in una società che quasi “giustifica” la violenza del partner: tutto ciò avviene in ragione di una concezione patriarcale di un islam radicale, che si pone in contrasto con la vita, la dignità, la libertà, che sono valori fondamentali dell’essere umano e che dovrebbero essere rispettati in ogni angolo del pianeta.
Questo fatto di sangue pone una serie di interrogativi, in merito a come riuscire a portare avanti un discorso di sana ed equilibrata multiculturalità e interreligiosità, in una “società liquida”, dove i flussi umani in arrivo e quelli in partenza si combinano e, a volte, si fondono in un melting pot pieno di energie, ma anche di incognite.
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